12 maggio 1994
L'ULTIMO CONTRAPPELLO
(di Padre Gianfranco Maria Chiti)
Dodici maggio, 53 anni fa.
Un treno fischia, sbuffa, e lentamente
si muove, il Corso "FEDE" se ne va
con il filetto da Sottotenente.
Tutti presenti, tutti di una sorte:
stringendo il suo destino fra le dita,
così ciascuno andò verso la vita,
così qualcuno andò verso la morte.
E quando la bufera fu passata,
quando quel treno si rimise in moto
per condurci alla prima radunata,
aveva a bordo più d'un posto vuoto.
Amici della prima giovinezza,
rimasti nella steppa ed oltremare,
noi che ci ritrovammo a ricordare,
noi vi pensammo: ma senza tristezza.
Voi caduti nel fango e sulla cima
dei monti, missionari del coraggio,
foste compagni del consueto viaggio
scesi dal treno una fermata prima.
Anche quest'anno il treno si è fermato
per radunarci e per condurci ancora
a ritrovare, insieme per un'ora,
le rugose radici del passato.
Eccoci ancora una volta qui, tutti presenti
ed ancora una volta un po' Sottotenenti.
Certo che il treno un dì s'arresterà
(e a bordo avrà soltanto un passeggero),
s'arresterà in un sibilo leggero
al Gran Quartiere dell'Eternità.
Saremo pronti all'ultimo raduno
del Corso "FEDE", Amici, sarà bello
fare ancora una volta il contrappello.
Quel giorno, sì, non mancherà nessuno.
E passeremo in riga nuovamente,
e fra tutte le stelle di lassù
una soltanto brillerà di più:
una stelletta da Sottotenente.
UN AMICO
(di Padre Gianfranco Maria Chiti)
"Il mio amico non è ritornato,
dal campo di battaglia, Signore.
Chiedo l'autorizzazione di andare
a cercarlo" disse un Soldato
al suo Tenente.
"Autorizzazione negata ", risponde
l' Ufficiale, "non voglio che rischi
la tua vita per un uomo che
probabilmente è morto.
Il Soldato incurante del divieto, va, ed un'ora
dopo ritorna all'accampamento, mortalmente
ferito, con il cadavere del suo Amico.
L 'Ufficiale era furioso:
"Te lo avevo detto che era morto.
Dimmi, valeva la pena andare fin là
per ritornare con un cadavere?"
Il Soldato, moribondo, rispose:
"Certo che sì, Signore! Quando l' ho
trovato era ancora vivo ed ha
potuto dirmi:
"ero sicuro che saresti venuto."
"UN AMICO È COLUI CHE ARRIVA
QUANDO TUTTI SE NE SONO
ANDATI"
La "preghiera" del mulo al suo conducente
Il Tenente Giuseppe Ferrando (intorno agli anni ‘20), nella caserma del 26° Reggimento Fanteria, così interpretò i lunghi, rassegnati silenzi dei muli delle salmerie del suo reparto:
Non ridere, o mio conducente; ascolta questa mia preghiera!
Quando rientriamo in caserma dopo un servizio, non abbandonarmi subito, anche se ti senti stanco; abbi pazienza e pensa che anch’io ho lavorato e sono stanco più di te.
Se sono sudato strofinami con un po’ di paglia, mettimi presto al riparo; per te è poca fatica e mi risparmi dolori reumatici, tosse e coliche. In scuderia, specialmente di notte, lasciami legato lungo, perché io possa giacere e riposarmi.
E’ vero che io posso anche dormire stando in piedi, ma, credilo, caro conducente, io dormo e riposo meglio quando sono sdraiato. Ogni giorno puliscimi i piedi e lavami con una spugna ben bagnata. Ogni tanto, e specialmente durante le piogge, dammi un po’ di grasso ai piedi, così mi eviterai le malattie allo zoccolo. E’ vero che io non sono un animale fino, ma non pulire i miei occhi con la spugna con la quale hai pulito gli occhi ad un altro mulo senza prima averla ben lavata. Così pure adopera due spugne, una per gli occhi e l’altra per le parti del corpo; in tal modo mi eviterai malattie. Tienimi sempre pulito.
Un giorno ho sentito dire dal capitano ad un conducente come te: "un buon governo vale metà razione" e questo è vero. Io non sono come il maiale che più è sporco e più ingrassa. Io lavoro spesso nella polvere e nel fango; sudo, ho bisogno di essere ben governato.
Quando la mia pelle è pulita, io mi sento bene e mangio di buon appetito. E tu fai bella figura perché mi presenti ai tuoi superiori col mantello bello lucido. Fammi bere spesso acqua fresca e pulita, anche durante il lavoro. Se vedi che io non riesco a vincermi e bevo troppo in fretta, distaccami pure dall’acqua, ma non farlo con brutti modi perché mi fai paura, e poi lasciami ancora bere. Non aver fretta e lascia che io beva quanto voglio: l’acqua mi fa bene e non mi ubriaca.
Accarezzami spesso e parlami, così imparerò a conoscere la tua voce e ti vorrò bene, sarò buono e lavorerò tranquillo. Se nel mettermi le bardature io divento irrequieto e tiro qualche calcio in aria pensa che anch’io, come te, posso soffrire il solletico in qualche parte.
Abbi pazienza, non trattarmi male; io non sono cattivo! Mettimi bene la bardatura e guarda che ogni cinghia sia della lunghezza giusta; mi eviterai dolori e fiaccature. Anche se tu sei stanco e sudato o le tue mani sono intirizzite dal freddo, non risparmiarti la piccola fatica di accorciare la braca quando si va in discesa e di allungarla quando si va in salita. Pensa che porto un forte peso e nelle discese, se la braca non è tirata, mi viene sul collo e mi spinge a cadere. Nelle salite ho bisogno di essere libero nei movimenti e perciò allungami la braca e se la salita è forte accorcia il pettorale in maniera che il carico non mi vada sulle reni. Facendo ciò tu mi risparmierai fiaccature e cadute. Nelle salite io vado più svelto e tu non attaccarti al guinzaglio; mi stanchi, mi fai male alla bocca e puoi farmi perdere l’equilibrio e cadere. In discesa io vado più piano e tu abbi pazienza, non tirarmi; vedrai che arriveremo lo stesso. Lasciami il guinzaglio lento e lascia che io veda dove metto i piedi. Stai però pronto a sostenermi con le redini nel caso che io inciampi. Basta il tuo aiuto per un secondo, per evitarmi una caduta. Se inciampo abbi pazienza e aiutami; pensa che io sto più attento che posso per le tue strapponate e le tue parolacce che mi rendono nervoso e mi fanno venir voglia di scappare. Se qualche volta io scappo, ciò dipende da qualche paura. Pensa che adesso ci sono per le strade tante macchine che fanno rumore e che al mio paese non ho mai viste. Io non le conosco ancora tutte e ti confesso che qualcuna mi fa paura. Quando capita una macchinaccia di queste non mi tirare per le redini che mi fa paura. Quando capita una macchinaccia di queste non mi tirare per le redini che mi impaurisci di più; ma accarezzami, specialmente sugli occhi, e parlami con voce buona e vedrai che io rimarrò tranquillo e non cercherò di scappare.
Quando mi fai governo non mi passare la striglia sulle gambe e sulla testa; pensa che mi fai male e mi puoi produrre qualche ferita. Quando sei di guardia scuderia non ti dimenticare di passare la biada allo staccio; così leverai la terra e la polvere che c’è sempre in mezzo e mi eviterai i riscaldamenti. Cerca di capirmi e non sfogare mai il tuo nervosismo su di me.
E’ vero che ho dei difetti, ma credi pure io non sono una bestia feroce. Io capisco il conducente buono, che mi tratta bene ed ha cura di me e gli voglio bene. Quando egli mi è vicino io sono contento e lavoro volentieri. Il conducente cattivo, invece, che mi tratta male e mi fa dispetti, mi rende nervoso e qualche volta sono costretto a tirare calci per difendermi.
Ed infine, caro conducente, quando andrai in congedo e dovrai darmi in consegna il conducente recluta, cerca di spiegargli bene i miei difetti e raccomandagli come deve trattarmi; così mi risparmierai un periodo di sofferenze, e al dispiacere di vederti andar via non dovrò aggiungere quello di capitare in mano di un coscritto poco pratico e cattivo. Sii sempre buono e paziente e pensa che anche noi muli siamo di carne come te ed anche noi soffriamo.
Probabilmente l’ufficiale consegnava questa preghiera alle reclute per insegnare loro le buone maniere da usare con i muli forti e a volte "suscettibili".